Storie - Histories

L’eroe dei due mondi, dal Brasile con la casa Cinzano a La Morra. Oggi vi parlo di Renato Ratti, uomo divenuto museo, ed un museo diventa vino.

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Renato Ratti

Oggi facciamo un esercizio di divulgazione diverso, non parleremo di vino o di vigneti in particolare, ma di un personaggio che ha caratterizzato fortemente il vino italiano, catapultando ai livelli mondiali. Certo per descrivere la personalità in questione, uno spazio molto più ampio sarebbe necessario, una pubblicazione; qualcuno ci ha provato con un video(eccellente tra l’altro) di una quarantina di minuti. Oggi parliamo di Renato Ratti. Eviterò di fare un collegamento con dei post precedenti, ossia quelli riguardanti il Barolo ed il Barbaresco, in quanto, dovrei allegare tutti.

Renato Ratti, nasce nel 1934 e si diploma come enotecnico nel 1953 alla scuola di Alba. Qualche anno dopo lavorerà alla Cinzano, la grande industria del Vermouth e degli spumanti italiani.

Cinzano all’epoca era un vero laboratorio di tecnologie e molte menti fresche di università e ricerca la frequentavano. Oltre al mondo della vigna in questa grande azienda vi erano chimici, ingegneri, agronomi ed enotecnici per l’appunto. Crescere professionalmente in un ambiente simile permette un’esplorazione del mondo del “drink” a 360 gradi e soprattutto permise ad un uomo come Renato Ratti, che non veniva da una tradizione familiare legata al vino, di avere un approccio libero e sperimentale(come lui vanterà anni più tardi)

In seguito Ratti venne trasferito(con grande entusiasmo da parte sua) in Brasile per poter assistere ad un progetto della Cinzano legato al Vermouth prima e successivamente ad una serie di grossi investimenti che la casa torinese aveva fatto in ambito enologico in senso puro.

Realmente il trasferimento doveva avvenire a Buenos Aires in Argentina ma quando Ratti seppe che Cinzano stava impiantando vigneti in prossimità di Porto Alegre, spinse per partecipare al progetto brasiliano. 

Siamo a metà degli anni 50′ ed il Brasile aveva appena conosciuto il suicidio del suo dittatore e dirigente storico Getulio Varga. Grandi differenze sociali erano presenti e l’apertura a nuovi investimenti era vista come un’opportunità di rinascita. Anche il Brasile vinicolo, come Renato Ratti non aveva avuto una tradizione viscerale nella produzione di vino ed era un laboratorio a tutto campo per uomini con una curiosità ed una apertura mentale importante. Questi anni saranno la formazione del nostro personaggio.

Renato Ratti, ormai dirigente e con un ottimo salario, inizia ad informarsi su come investire i suoi guadagni. Con il consiglio di tanti amici di cui Bruno Giacosa decide di investire nella vigna. Grande amatore di vini francesi, soprattutto Borgogna per il loro legame al territorio e la loro tradizione contadina molto simile a quella piemontese; e grande estimatore di vini bordolesi, decise di comprare una vigna storica con possibilmente un castello annesso, alla maniera bordolese. Individuò un eccellente appezzamento con una magnifica abbazia benedettina a La Morra, uno dei comuni meglio conosciuti per i suoi Barolo generosi. L’abbazia era appartenuta ai monaci che conservarono le vigne in modo eccelso ed anche un po’ di stoccaggio delle annate precedenti.

Barolo Mercenasco
Albeisa

Una lettera ad un amico datata 10 agosto 1968, presenta in regalo a quest’ultimo la bottiglia N.1 delle cantina Ratti, il dado era tratto.

Renato Ratti inizia a valorizzare tutto il mondo del Barolo e spesso a ricevere critiche per il suo voler valorizzare i vini vendendoli fino a quattro volte il prezzo abituale.

Irrequieto ricercatore, inizia a frugare nei reperti della sua tenuta ritrovando una bottiglia del 1700,  somigliante a quella di un Borgogna, con la scritta sulla spalla “Albeisa”: la bottiglia tradizionale dei vini di langa era nata. Con l’albeisa una tradizione storica si consolidava, il  Barolo ed il Barbaresco erano terre di vini preziosi, perché imbottigliati(anche se in numero esiguo e per pochi ricchi signori)al pari dei vini francesi.

Inizia a scrivere numerosi saggi tra cui: 

Della vite e del vino nell’albese; Manuale del bevitore saggio; Guida ai vini piemontesi; conoscere i vini d’Italia; Come degustare i vini.

Per Ratti il vino deve avere una dignità, non bisogna produrre nelle annate cattive e bisogna valorizzare ma soprattutto differenziare le parcelle, prendere spunto dai francesi che avevano i cru.

Ovviamente queste cose dette oggi possono sembrare ovvie ma in un’epoca in cui anche parlare di vino imbottigliato e di nome del produttore in etichetta sembrava avere una visione futurista e borghese, tutti guardavano Renato Ratti come qualcuno bizarro.

Nel 1972-1973 inizia un percorso in cui classificherà tutte le parcelle e quindi i cru di Barolo e Barbaresco; un lavoro molto laborioso che darà ai posteri un’eredità immensa. Negli stessi anni crea la carta delle annate e declassa per l’appunto il 1972 ed il 1973 da lui ritenuti millesimi pessimi. L’aneddoto che tutti ricordano fu l’irruzione di Ratti nel consiglio di amministrazione del consorzio dei vini di Barolo per insistere e chiedere ai viticoltori di non produrre. 

La cantina Ratti inizia a far invecchiare i vini, due anni in botte ed uno in bottiglia apportando un’altra rivoluzione di cui tutti erano, prima o poi obbligati a seguire.

Il cru Mercenasco, del quale Renato Ratti, proprietario ne andava fiero, traeva origini antiche. In un documento del suo museo si legge: “il nome Mercenasco deriva dall’antica denominazione del borgo Marcenascum, castello e zona viticola dell’annunziata con le vigne già preziose a partire dal secolo XII”(Registrum Comunis Albem).

L’abbazia aveva preso forma dal 1479, anno in cui i benedettini si insediarono.

Questa abbazia, la vigna dell’annunziata erano un vanto per Ratti; poteva vantare l’antichità e la nobiltà dei suoi vini e delle sue terre.

Renato Ratti opera anche nell’astigiano, diventandone il presidente del consorzio di Asti e riuscendo a mettere d’accordo(soprattutto a creare condizioni dignitose di lavoro) industriali e contadini. Il suo era un ragionamento logico, in un mercato, come quello del moscato, che produce 70 milioni di bottiglie, per la maggior parte esportate nei paesi “ricchi” c’era posto per tutti.

Negli anni 70′ allestisce il museo nella sua abbazia dove esporrà, arnesi ed oggetti del lavoro e della vita contadina albese.

Potremmo dire ancora tanto, oppure parlare della sua cantina, della successione di suo figlio Pietro, ma temo di dover prendere uno spazio supplementare ed a rimettere ad un’altra puntata. 

Chiudiamo con un personaggio che generosissimo che ha speso la sua vita per favorire quella che molti autori di pubblicazioni sul vino, inglesi ed americani, chiameranno: la rinascita del Barolo.

Renato Ratti è stato un personaggio di prim’ordine, uno di quelli che non nascono tutti i giorni.

Vorrei finire con un aneddoto, riguardante il periodo di fine vita, nel 1988, quando ormai aveva capito che gli restasse pochissimo da vivere.

Qualche giorno prima di lasciarci chiese dell’uva moscato da mangiare; il pomeriggio seguente, che precedeva la sua scomparsa, chiese una poltrona sulla terrazza dell’abbazia, si sedette per ammirare tutte le colline del Barolo, si riempì gli occhi e la notte stessa ci lasciò.

Giovanni Curcio

In seguito la carta dei cru e delle annate-fonte, museo Renato Ratti.

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