Storie - Histories

Diario di un amatore di vini n.4

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Dopo aver visitato la collina Martinenga e Asili, passiamo ad un altro grande Barbaresco: Rabajà.

Ci troviamo sempre nella zona di Alba, famosa per il suo tartufo bianco e per il vitigno Nebbiolo, che conferisce ai vini delle Langhe una struttura e una longevità ineguagliabili.


Rabajà confina a ovest con i “crus” di Martinenga e a nord-ovest con Asili oltre che con Moccagatta, di cui parleremo più avanti. Situata su una parcella di terreno di otto ettari esposti a Sud, Rabajà possiede un suolo di marna bianca e sabbia che permette ai suoi vini di essere tra i più strutturati della regione. Le vigne sono potate e crescono in forma di Guyot per un massimo di 4000-5000 piante per ettaro.
Il nome Rabaja deriva da “cascina Rabajà” (casetta) e appartiene oggi a Bruno Rocca, personalità di spicco del Barbaresco.


Piccola curiosità: negli anni ’70 un ristoratore del paese, lo chef Guido Alciati, acquistò l’intera produzione di questo vino poiché intenzionato a farne pubblicità e farlo conoscere a tutti i suoi clienti.
Tra i produttori di Rabajà si annoverano Bruno Rocca, Michele Chiarlo, Giuseppe Cortese, ma anche Bruno Giacosa, Fratelli Barale e Produttori di Barbaresco.
Degustiamolo insieme! Il colore è rubino scuro che, con l’invecchiamento, tende al granata, quasi mattone. Al naso è intenso, molto complesso e raffinato: è un’esplosione di note di cuoio, tabacco, pepe nero e spezie. In bocca l’opulenza e la ricchezza sono ben controbilanciati da dei tannini morbidi (anche nei vini molto giovani) e da aromi di agrumi.
Con cosa si può accompagnare questo vino? Anche se spesso si tende a escludere l’accostamento vino rosso e pesce (soprattutto pesce bianco), vi invito a provarlo con una “Bagna Cauda”.

Questo piatto tipico della tradizione piemontese, a base di acciughe, aglio e olio d’oliva, da usare in pinzimonio, veniva preparato dopo una lunga giornata di vendemmia e consumato in famiglia, magari davanti al fuoco.

Giovanni Curcio

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