Storie - Histories
Diario di un amatore di vini n.1
Durante il lockdown, ho ripensato ai miei viaggi nelle case vinicole, l’inizio di un’avventura alla scoperta di vini sorprendenti.
In realtà, ho raramente il tempo di passeggiare per le vigne, e ora che avrei finalmente il tempo, non si può uscire di casa…
Ma ripenso alle immagini impresse nella mia mente della collina “Asili”, un grand cru del barbaresco.
Un appassionato di vino che non conosce il Barbaresco (sarà catturato e decapitato, no scusate, si pensa ma non si dice), dovrebbe partecipare ad una masterclass, o meglio ancora viaggiare attraverso queste terre, oppure seguire il mio diario, per comprendere al meglio questa denominazione così complessa.
Iniziamo dall’origine del nome Barbaresco, un villaggio ora in Piemonte, ma che un tempo faceva parte della barbara Gallia, ragione per la quale i Romani chiamavano Barbaritium. Gli stessi barbari che, semplificando (e di molto) le cose, causarono la caduta dell’Impero Romano d’Occidente.
La denominazione Barbaresco è costituita da tre comuni (e mezzo) : Barbaresco, Neive, Treiso euna parte di San Rocco. Il vitigno utilizzato è il Nebiolo, e il suolo è in gran parte del cenozoico, risale quindi a 70 milioni di anni fa.
Si iniziò a parlare di vino Barbaresco già nel 1894, con la nascita della cantina cooperativa del Barbaresco, ma la denominazione arrivò solo nel 1963.
Il territorio del Barbaresco possiede diversi cru ben riconoscibili et la sua struttura ricorda lo stile della Borgogna: piccole parcelle, perlopiù monovitigno, coltivate e raccolte da proprietà familiari.
Iniziamo parlando di Asili, una collina storica di 3 ettari, costituita di marna e una piccola parte di sabbia, che rende i vini più morbidi, meno tannico e più ricchi.
Non si può parlare di Asili senza menzionare nomi come Giacosa, che ottenne le vigne nel ’55 ma che iniziò la produzione solo nel’ 67, la famiglia Grasso, con la tenuta Elio Grasso Cà del Baio, o ancora la Cantina Produttori, che iniziò la produzione nello sfortunato ’73, e che fu quindi obbligata a stampare la prima etichetta l’anno seguente.
Quando apriamo un Barbaresco ci aspettiamo l’eleganza, il tannino e una buona freschezza, anche a scapito di una struttura quasi austera. L’Asili è diverso, ha un colore più carico, è più rotondo e con quel mezzo grado in più che ne sostiene la struttura.
Provatelo con un piatto di tajarin al tartufo bianco, non ve ne pentirete!
Buon Appetito!
Giovanni Curcio
Sommelier